Il vincolo contrattuale
La stipula di un contratto fa sorgere a carico dei contraenti un vincolo giuridico che consiste nell’obbligo di rispettare le regole che essi stessi si sono autoimposti.
Nel contratto di locazione, ad esempio, una parte (il locatore), si obbliga a far godere all’altra (il locatario o conduttore) una cosa mobile o immobile dietro il pagamento di un canone.
L’inadempimento di un contraente
Può accadere, però, che una delle parti venga meno a tali impegni ed allora ci si chiede quali conseguenze comporta il venir meno a tali obblighi e quali sono le tutele offerte dall’ordinamento a vantaggio di chi subisce l’inadempimento.
La risoluzione del contratto
Uno dei rimedi concessi al creditore per reagire all’inadempimento del debitore è la risoluzione del contratto: quando uno dei contraenti non adempie le obbligazioni scaturenti dal contratto, l’altro può chiedere la risoluzione, ossia lo “scioglimento del vincolo”.
L’ordinamento prevede tre diverse tipologie di risoluzione: la risoluzione per inadempimento, la risoluzione per impossibilità sopravvenuta, la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta.
La risoluzione per inadempimento
La risoluzione per inadempimento trova la sua disciplina nell’art. 1453 c.c. Tale norma sancisce che “nei contratti con prestazioni corrispettive, quando uno dei contraenti non adempie le sue obbligazioni, l'altro può a sua scelta chiedere l'adempimento o la risoluzione del contratto, salvo, in ogni caso, il risarcimento del danno”.
La risoluzione per inadempimento è, quindi, il rimedio previsto dall'ordinamento a tutela del contraente (creditore) che ha subito la mancata esecuzione della prestazione da parte dell’altro contraente (debitore).
I presupposti
Sennonché, non è sufficiente il “mero inadempimento” ma è necessario che esso sia grave ed imputabile.
L’art. 1455 c.c. sancisce che non si può risolvere il contratto se l’inadempimento di una parte ha “scarsa importanza, avuto riguardo all’interesse dell’altra”. Ciò in quanto solo il grave inadempimento è in grado di sconvolgere la corrispettività delle prestazioni e, di conseguenza, l’equilibrio del contratto.
Per ciò che attiene, invece, alla imputabilità, va detto che l’inadempimento deve essere dovuto ad un comportamento volontario o, quantomeno colposo del debitore: l’inadempimento non è imputabile al contraente se ricorre una causa di giustificazione del comportamento che lo ha determinato.
Le due alternative riconosciute al creditore insoddisfatto
Di fronte all’inadempimento del contraente, la legge prevede che la parte non inadempiente (ossia quella che ha adempiuto regolarmente le proprie obbligazioni) ha la possibilità di scegliere tra la richiesta di adempimento o la risoluzione del contratto. In altre parole, potrà esperire giudizialmente due diversi tipi di azione: o quella diretta ad ottenere l'adempimento, o quella diretta a far dichiarare risolto il contratto con contestuale richiesta di risarcimento del danno.
La scelta è dettata dall’avere o meno ancora interesse ad ottenere l’adempimento.
La richiesta di esatto adempimento
L’adempimento in forma specifica conviene quando si il contraente insoddisfatto ha interesse ad ottenere cose infungibili (quali opere d’arte, oggetti particolari, immobili) o difficilmente reperibili sul mercato.
In tal caso, chi agisce in giudizio deve provare solo il contratto; spetta, invece, al convenuto eccepire e provare che non sussiste inadempimento (ad esempio perché è già stato adempiuto).
La richiesta di risoluzione
La scelta più drastica, ossia quella dello scioglimento del contratto conviene, invece, quando il contraente avrebbe dovuto ottenere cose fungibili o facilmente reperibili sul mercato: il tal caso è molto più pratico assicurarsi una somma di denaro, posto che sarà possibile reperirle altrove.
La risoluzione può essere disposta dal giudice a seguito di domanda giudiziale (risoluzione giudiziale); in tal caso è necessario provare l’inadempimento di controparte.
Diversamente, in presenza di una clausola risolutiva espressa, di una diffida ad adempiere o di un termine essenziale la risoluzione può operare di diritto (risoluzione stragiudiziale odi diritto) .
Importanti precisazioni
Posto che la norma di riferimento attribuisce al contraente insoddisfatto due diverse scelte, va fatta una precisazione circa l’“alternatività” delle due soluzioni. L’art. 1453, infatti, detta tre precise regole dirette a tutelare entrambe le parti del rapporto obbligatorio.
Tale regola è prevista nell’interesse del creditore: anche quando il giudizio è stato promosso per ottenere l’adempimento, di fronte al perdurante inadempimento è sempre possibile ottenere lo scioglimento del contratto. La scelta è reversibile.
In questo caso la norma tutela soprattutto la posizione del debitore: egli deve certamente rispondere dell’inadempimento ma, qualora il creditore abbia manifestato la volontà di risolvere il contratto, non è più tenuto a garantire l’adempimento. La scelta è irreversibile.
Il risarcimento del danno
La parte che ha subito l’inadempimento può avere diritto al risarcimento del danno. Il danno si identifica con l’interesse a ricevere quanto si sarebbe dovuto ottenere in caso di regolare esecuzione del contratto. Il risarcimento ha natura riparatoria ed è sostitutivo della prestazione mancata; per questo motivo comprende danno emergente e lucro cessante (ossia, tutte le utilità che l’inadempimento ha impedito di conseguire).
La domanda di risarcimento del danno da inadempimento è una domanda autonoma rispetto a quella di adempimento o di risoluzione: può essere proposta sia congiuntamente, sia separatamente e può essere accolta anche se la risoluzione non viene pronunciata a causa della non scarsa importanza dell’inadempimento. Il risarcimento, infatti, si fonda sulla responsabilità contrattuale (ex art. 1218 c.c.): per questo la risoluzione del contratto non determina automaticamente il riconoscimento del risarcimento.
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