Causa civile per risarcimento danni: come si fa e qual è l'iter

12 Dicembre 2018

La regola di ordine generale secondo la quale ogni evento genera delle conseguenze vale più che mai nel diritto civile.

Nel nostro ordinamento giuridico, infatti, vige il principio per cui ciascuno deve comportarsi in modo tale da non ledere la sfera dei diritti altrui per non incorrere in eventuali responsabilità. In presenza di un illecito, il rimedio generale previsto dalla legge è il risarcimento del danno; la tutela risarcitoria è, quindi, lo strumento tipico con cui viene compensato un evento lesivo.

Ciò significa che chi cagiona un danno deve ricompensare colui che lo ha subito.

Causa civile per risarcimento danni: come si fa e qual è l'iter e come ottenere il giusto risarcimento

Il luogo in cui viene accertata la responsabilità dell’autore del pregiudizio è il processo civile; pertanto, la parte che ritiene di esser stata danneggiata deve rivolgersi all’Autorità Giudiziaria, mediante l’ausilio un avvocato.

Una volta accertata la responsabilità del colpevole, il giudice quantifica il danno, determinando l’ammontare del risarcimento che dovrà essere versato alla parte offesa. Sennonché, onde evitare di incardinare giudizi avventati, è opportuno interrogarsi circa la natura e la tipologia di danno dinanzi alla quale ci si trova, per capire quali danni sono effettivamente risarcibili.

I danni risarcibili

Anzitutto va detto che costituisce danno, il pregiudizio che deriva da un comportamento colposo (ossia causato da negligenza, imperizia o imprudenza) o volontario di un altro soggetto.

Inoltre, per poter accedere alla tutela giurisdizionale, è necessario che il danno sia effettivo, concreto ed attuale.

Il danno può essere di due tipi: patrimoniale e non patrimoniale. Il primo consiste nelle conseguenze economiche patite dal soggetto danneggiato, ossia la lesione apportata al patrimonio, valutabile in termini monetari. Esso viene valutato sulla base di due criteri: danno emergente e lucro cessante.

Si pensi al caso in cui un automobilista, perdendo il controllo dell’auto, vada ad impattare contro la vetrina di un negozio, distruggendola. In termini economici, il danno subito dal proprietario del negozio comprende sia la lesione diretta ed immediata del patrimonio (cd. danno emergente), ossia la somma necessaria per il ripristino della vetrina, sia la lesione del patrimonio nella prospettiva dei mancati guadagni (c.d. lucro cessante) dovuti alla chiusura del negozio durante il periodo necessario al ripristino.

Il danno non patrimoniale, invece, consiste nella lesione di un bene della vita, ossia nelle conseguenze che abbiano inciso sulla sfera personale e che non possono essere oggetto di quantificazione economica. Si pensi, ad esempio, alle lesioni della salute, al dolore patito in seguito alla perdita di una persona cara.

La possibilità di ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale è disciplinata dall'art. 2059 c.c. che ammette il risarcimento dei soli pregiudizi che derivanti dalla lesione di una posizione riguardante la persona e che trova un riconoscimento nella Costituzione.

Il danno non patrimoniale costituisce una categoria unica ma, al solo fine di individuare dei parametri idonei ad agevolarne la quantificazione, viene solitamente distinto in tre categorie. Più precisamente, si fa riferimento al danno biologico,ossia il danno alla salute, al danno morale, che può essere definito come la come una “sofferenza, patema d’animo” e, infine, al danno esistenziale, che rappresenta il peggioramento della qualità della vita, il mutamento delle abitudini quotidiane derivanti dall’evento lesivo subito.

La fonte del danno: responsabilità contrattuale o extracontrattuale?

Come anticipato, va, poi, individuata la fonte del danno, ossia la responsabilità da cui trae origine il danno; in altre parole, occorre distinguere la responsabilità contrattuale, prevista dall’art. 1218 c.c, da quella extracontrattuale, di cui all’art. 2043 c.c.

Si ha responsabilità contrattuale quando l’illecito sorge dal mancato adempimento di un obbligo derivante dal contratto stipulato tra due o più parti. Si pensi al caso di chi, dopo aver ricevuto il pagamento per la vendita di un bene, non lo consegna o lo consegna con evidenti difetti; oppure all’ipotesi in cui un professionista che non esegue correttamente l’attività promessa; o, ancora, al caso di chi esegua una prestazione, ma non venga pagato dal cliente.

Si ha, invece, responsabilità extracontrattuale o aquiliana, quando tra le parti non ci sono preesistenti legami di ordine contrattuale e l’evento lesivo deriva dalla violazione del principio generale del neminem laedere, cioè dalla lesione di un interesse tutelato dalla legge. L’illecito civile consiste, quindi, in un qualsiasi fatto contrario alle regole comportamentali.

È fondamentale determinare se il danno derivi o meno da un contratto  per le di differenti conseguenze che ne derivano sul piano processuale. Le principali differenze riguardano la valutazione dei danni, l’onere della prova, il diverso termine di prescrizione.

Sotto il primo profilo, va detto che nella responsabilità contrattuale, quando l’inadempimento è colposo sono risarcibili solo i danni prevedibili nel tempo in cui è sorta l’obbligazione: sono esclusi i danni imprevedibili. Al contrario, nelle ipotesi di responsabilità extracontrattuale, invece,  sono risarcibili tutti i danni che siano conseguenza immediata e diretta della condotta dell’agente, quindi anche quelli imprevedibili al momento del comportamento colpevole.

Per quanto riguarda l’onere della prova, bisogna sapere che è decisamente più gravoso nei casi di responsabilità aquiliana. Ed infatti, nella responsabilità contrattuale, chi pretende il risarcimento (ossia l’attore) deve semplicemente dimostrare l’esistenza dell’obbligazione (ad esempio il contratto) e l’oggettivo inadempimento della controparte. Spetta invece a quest’ultima provare che l’inadempimento non è stato causato da una propria. Nella responsabilità extracontrattuale, invece, chi pretende il risarcimento deve provare il fatto materiale, cioè la condotta dell’agente, il danno subito, il «rapporto di causalità» (ossia che il danno è la conseguenza immediata e diretta del comportamento del danneggiante), nonché la colpa (o il dolo) di chi ha danneggiato.

In ultimo, sotto il profilo della prescrizione, occorre tener presente che per la responsabilità contrattuale è, in generale, quella ordinaria decennale (salve le varie ipotesi di durata più breve di volta in volta previste dalla legge), mentre per la  responsabilità da fatto illecito, la prescrizione è più breve e viene fissata dall’art. 1229 c.c. in 5 anni.

Come agire per ottenere il risarcimento

Una volta accertata la natura del danno e la fonte da cui lo stesso ha avuto origine ed individuata la controparte, ossia il soggetto responsabile dell’evento dannoso, è possibile, con l’assistenza di un avvocato esperto in materia, avviare l’iter per ottenere il giusto risarcimento.

Fuori dai casi, invero non infrequenti, in cui il ristoro del pregiudizio sofferto viene riconosciuto in fase stragiudiziale, ossia nell’ambito di un accordo “bonario” tra le parti, per ottenere il risarcimento è necessario promuovere un giudizio innanzi alla competente Autorità Giudiziaria (Giudice di Pace o Tribunale a seconda dell’entità del danno), mediante atto di citazione da notificare al responsabile civile e, ove esistente, alla Compagnia Assicurativa.

Il Giudice adito, accertato il danno anche mediante un C.T.U. (Consulente Tecnico d’Ufficio), nonché la sussistenza degli altri elementi fondanti la responsabilità civile (contrattuale o extracontrattuale) della controparte, condannerà quest’ultima al risarcimento e, nella maggior parte dei casi, al pagamento delle spese del giudizio.


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